Siamo qui raccolti per pregare il Dio potente della vita e il misterioso Dio della morte, perché dia gioia eterna al nostro caro amico Padre Francesco Milli.
Siamo qui per non dimenticare né la morte né la vita di un giovane missionario folgorato alle ore 1 10 del 28 Dicembre.
Vita e morte che hanno commosso e sconcertato quanti hanno conosciuto e amato Francesco Milli.
Morte e vita che hanno sconvolto gli schemi formali della coscienza di tanta gente vicina e lontana da Dio, prigioniera ancora della paura di compromettersi con una verità più grande ed una donazione più vera.
Morte e vita che è stata una provocazione a quanti, intellettuali da salotto, politici della carriera, banditori dai giornali, dalle televisioni, dai pulpiti delle chiese dei problemi annosi sulla povertà, sulla fame, sul terzo mondo, sulle emarginazioni razziali, e poco o nulla fanno per cancellare il peccato e la disperazione di questa falsa civiltà borghese.
Padre Milli consapevole della sua vocazione come il Pastore Buono del Vangelo, fino all’ultimo sacrificio, è vissuto e ha dato la vita per il piccolo gregge di gente africana.
Alessandro: un ragazzo come tanti. Il terzo di quattro figlioli; la sua famiglia: gente semplice, umile, che ha sempre lavorato e pregato. La guerra e il dopoguerra lasciò nella casa i segni della sofferenza, della fatica.
Nel ‘45 alla fine della guerra il nostro Alessandro aveva solo 10 anni.
L’Oratorio Salesiano vicino era lo spazio preferito per i suoi giochi, le sue amicizie, la sua formazione umana e spirituale.
I direttori di allora lo seguirono con affetto. Io lo conobbi nell’estate del ‘49 e ‘50: aveva 14 anni. Poi cominciai a viverci accanto dall’estate del ‘51 e da allora ho potuto seguire le sue tappe più significative, fino, questa ultima tragica.
Vivacissimo, esplosivo, mattacchione, geniale nelle sue trovate, aveva un cuore limpido di fanciullo e soprattutto una sincerità imprevedibile in un giovane nella piena forza della sua adolescenza.
Non gli faceva paura, né vergogna confessarsi, fare la comunione, portare il distintivo di Azione Cattolica.
Negli anni più brucianti della sua giovinezza matura, prese delle sbandate, con amici scanzonati come e più di lui.
Certi comportamenti ed alcune bravate stravaganti, di sapore schiettamente fiorentino e goliardico, facevano pensare ad una spirale sempre più sconcertante e irreversibile che destava preoccupazione e timore del peggio.
Ma Alessandro era un tipo fatto così; l’avventura, con tutte le sue complicazioni e rischi, gli piaceva.
Nel servizio militare si arruolò nel corpo dei Paracadutisti ed era orgoglioso dei suoi numerosi lanci che per lui non rappresentavano il servizio di un dovere reso alla cosiddetta Patria, ma forse un fatto più spericolato ed esaltante, quasi come un gioco.
Dopo il servizio militare che lo aveva maturato, ma non cambiato, la preoccupazione di un lavoro lo costrinse ad una vita da emigrante fuori Toscana, soprattutto nel Meridione, ma ogni tanto ritornavano a galla nella sua Firenze, più libera e inquieta, le avventure brillanti e temerarie, di un tempo non del tutto dimenticato.
Fu in questo periodo, nell’autunno del ‘56 il suo primo incontro, quasi casuale, con Padre Pio di Pietrelcina.
Alessandro non l’aveva mai visto, sentito parlare si, ma incontrato mai. Ma forse per quell’innata bontà e religiosità che aveva nel cuore, sentì nel suo più profondo spirito una curiosità strana, un bisogno inderogabile di vederlo, quasi l’istinto di un ultimo appello al suo equilibrio di pace interiore.
Padre Pio, quasi l’immagine di un profeta che sa leggere e intuire l’infinita realtà ed i misteri delle cose e del cuore dell’uomo, lo chiamò ad alta voce nella chiesa affollata e attonita.
E questo giovanottone biondo, alto, bello, vivo e, forte dei suoi 22 anni si sentì solo, tutto piccolo e timido davanti all’uomo di Dio che aveva letto e sconvolto la sua coscienza, la sua vita inquieta che tradiva sempre il bisogno di una ricerca appassionata di verità e un equilibrio. "FATTI FRATE" gli gridò Padre Pio, dillo al tuo giovane confessore di Firenze, e poi va a Montughi da un cappuccino che è santo. "Quel giovane confessore ero allora io e quel santo, Padre Michelangelo”.
Francesco dopo aver meditato e sofferto non ebbe esitazione a intuire e capire fino in fondo la destinazione della sua anima assetata di verità e di donazione.
Decise di consacrarsi al Signore con l’abito di San Francesco, un santo che lo aveva affascinato e del quale la sua storia aveva riflessi e similitudini.
Entrò nel convento antico delle "CELLE" di Cortona, sature di misticismo originario dove santi come San Francesco, San Bonaventura, San Damiano Sant’Antonio avevano maturato e consumato esperienze mistiche.
Dopo l’anno di Noviziato, di studio e di accettazione pratica della
Regola di San Francesco, decise di abbracciare senza rimpianti la vita religiosa.
Fui presente a quella cerimonia commovente di quando si prostrò per terra di quando si tagliò i capelli folti e biondi e si rivestì del saio e del cordone di San Francesco, di quando scelse il nome nuovo, quasi come a strapparsi da ogni tentacolo col vecchio mondo di prima. Non era più Alessandro di via don Bosco, ma FRANCESCO Maria Milli cappuccino di San Francesco.
La scelta fu irreversibile, convinta, generosa, stupenda. Quando la notizia si sparse in quella Firenze di amici, ci fu sbigottimento, incredulità, sorrisi. Ma Cecco si era pazzamente innamorato di Cristo e di San Francesco.
Da Cortona passò al convento di Siena per gli studi di filosofia e teologia Qui si inserisce un episodio da "Fioretti". Andò a trovarlo don Valentino del Mazza. Entrato nella sua cameretta si mise a sedere sul letto. Non c’era materasso. "Non dirlo a nessuno, nemmeno a mia mamma", disse Cecco. Il Milli dormiva su una tavola di legno.
Nel ‘68 fu ordinato sacerdote nel convento di Sant’Antonio a Pisa.
Quel giorno per me presente, come per tutti fu una festa di gioia.
Erano presenti alcuni commilitoni paracadutisti, il suo capitano, commossi e increduli di questo avvenimento e soprattutto dell’itinerario spirituale del loro compagno "Cecco".
Dopo solo alcuni mesi di ministero sacerdotale sempre spinto da una incontenibile voce, volle partire per la Missione in Africa.
La Tanzania, missione prediletta dai cappuccini di Toscana divenne la sua seconda patria. Si buttò con fervore, con gioia, si sentì missionario, in pieno, il buon pastore pronto a dare la vita per le sue pecorelle, che non fugge come fa il mercenario, ma che si fa amico, fratello, condivide col suo popolo i rischi, la miseria, la fame, le malattie, le paure della guerra, il lavoro, la disperazione per la sopravvivenza.
Qui a Firenze si fa portavoce del grido di angoscia del suo popolo, e in una sola domenica con la sua parola efficace fiorita, priva di retorica, ma chiara come l’acqua che era necessaria per la sua cisterna, conquista il cuore dei parrocchiani di questa Sacra Famiglia e raccoglie ben 3 milioni per i suoi poveri di Tanzania.
Padre Cecco aveva respirato l’aria e lo spirito del suo Oratorio fiorentino e gli era rimasta nell’anima la nostalgia e la passione per i ragazzi.
E nella sua vita missionaria ha avuto predilezione per i ragazzi e i giovani per i quali moltiplicava le energie e gli interessi. Ultimamente si era consacrato alla formazione e animazione dei giovani catechisti.
Ne fanno testimonianza i suoi scritti, le foto, i suoi convincimenti. Era cappuccino per tutti, ma profondamente salesiano per i giovani e i ragazzi.
Padre Cecco aveva la poesia nel cuore. Aveva sentimento, una tenerezza quasi fanciulla per la mamma. Ci sono lettere ricche e travolgenti di dolcezza verso la mamma, questa donna che era felice di aver donato al Signore il suo Cecco.
Le testate delle sue lettere parlavano così:
Alla mi’ mamma più amata: Angiolina Milli.
Alla mi’ mamma del cuore (il cuore era disegnato in rosso).
Così le scrisse ultimamente per il suo compleanno:
Mamma!
Dio di benedica! Io ti voglio bene! Io sono con te...
La tua festa per me è gioia.
Il tuo nascere per me è vita. Dio ti salvi.
Dio ti ami.
Dio ti sorrida.
Vorrei poterti dare di più per tutto quello che hai dato a me:
la vita, la fede, il timor di Dio, la giustizia, l’amore al lavoro, la stima della povertà, il rispetto del prossimo, la certezza d’una "seconda" vita, e non posso che mandarti questo: (un bel "cuore" disegnato in rosso)
MAMMA
TI
AMO!
Questa ricchezza di affetto era il dono più grande per la mamma e la rivelazione di un’anima pulita, aperta, commovente.
Quando la Regola gli permetteva di poter tornare a Firenze per stare un po’ di tempo con la famiglia o perché costretto dalla necessità di intervento chirurgico come appena alcuni mesi fa, tu lo potevi incontrare qui in questa chiesa di pietra avvolto nel suo saio francescano, incolto, ribelle ad ogni formalità, col suo breviario logoro, a pregare, a dire solo, come chi cerca il silenzio, o l’eco di una lontananza, la Messa nel linguaggio della sua gente di Tanzania, quasi per non interrompere quel filo di vita, di paternità, di amore, con la gente a cui si era consacrato e che gli aveva conquistato il cuore.
In questo atteggiamento di preghiera l’abbiamo visto qui per l’ultima volta, prima di riprendere il volo per la sua Missione, da dove non sarebbe tornato mai più!
Ha scritto San Francesco: "Quando un missionario parte già cosciente dei sacrifici, dei rischi della morte che potrà incontrare è già martire, prima di partire". Padre Cecco era certo consapevole di questo e io voglio pensarlo ancora così giovane, entusiasta, pronto per l’olocausto supremo della sua vita, donata interamente come Cristo sulla croce, per gli altri.
Ieri l’altro è arrivato il suo saluto augurale per tutti noi e per voi.
Fece il suo ultimo volo dalla terra al cielo, accolto da San Francesco, da Don Bosco, da tutti i martiri, da tutti i poveri, lui che i poveri li aveva privilegiati, fino a dare per essi la vita.
Ora riposa nel piccolo cimitero costruito con le sue stesse mani nella sua missione, vegliato dall’amore, dalle lacrime, dai fiori sempre verdi dei suoi ragazzi, della sua gente.
Riposa nella pace caro Cecco!
Oggi Epifania del Signore una luce si è accesa nei nostri cuori, nelle contraddizioni della nostra vita, nel buio di questa umanità scomposta e disordinata […].
O Signore, noi poveri uomini soli e sgomenti davanti al mistero della morte, ti vogliamo pregare per lui, per le lacrime della sua mamma buona e credente, martire insieme a suo figlio, e ti ringraziamo di averci fatto conoscere un uomo, un sacerdote, un apostolo generoso, semplice, degno come l’amico Cecco che ora vive e regna con Te.
Testo tratto dalla rievocazione della figura di Padre Francesco compiuta da don Morelli nel corso di una messa di suffragio che si tenne il